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La rappresentanza degli Enti locali nel giudizio tributario

Catania Luciano • 14 Dicembre 2022

rappresentanza-enti-locali-giudizio-tributarioNell’approfondimento odierno il Dottor Luciano Catania analizza una questione di una certa rilevanza: il tema della rappresentanza degli Enti locali nel giudizio tributario.


I Comuni hanno un problema in difesa o, meglio, di difesa nel processo tributario.

La normativa originaria

Originariamente, l’articolo 11 del D.Lgs. n. 562/1992, prevedeva, al terzo comma, che l’ente locale potesse stare in giudizio solo mediante l’organo di rappresentanza (Sindaco o Presidente della provincia), previsto dal proprio ordinamento ex articolo 50 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, abrogativo della precedente legge 8 giugno 1990, n. 142.

La giurisprudenza aveva convenuto sul principio che, pur nella separazione tra potere politico e attività gestionale, gli statuti e i regolamenti comunali non potevano derogare dall’attribuzione al Sindaco della rappresentanza giudiziale del Comune e non potevano attribuirla ad altri soggetti.

L’intervento della Cassazione

Nel 2005, però, la Corte di cassazione (Corte di cassazione, S.U., sentenza 16 giugno 2005, n. 12868) cambiava orientamento e affermava che lo statuto comunale avesse valore di norma fondamentale dell’organizzazione dell’Ente locale, i cui unici limiti erano quelli imposti da principi espressamente connotati da inderogabilità.

Per la Suprema Corte, quindi, lo statuto comunale poteva derogare alla riserva sindacale sulla rappresentanza dell’Ente.

La Legge 31 maggio 2005, n. 88

Lo stesso anno, il Legislatore, attraverso l’art. 3-bis della Legge 31 maggio 2005, n. 88 (che ha convertito il D.L. 31 marzo 2005, n. 44), modificava l’art. 11, comma 3, del D.Lgs. n. 546/1992, prevedendo che «L’Ente locale nei cui confronti è proposto ricorso può stare in giudizio anche mediante il dirigente dell’ufficio tributi, ovvero per gli enti privi di figura dirigenziale, mediante il titolare della posizione organizzativa in cui è collocato detto ufficio».

La giurisprudenza di merito ammetteva il dirigente (o il funzionario per gli Enti priva di dirigenza) a sottoscrivere tutti gli atti occorrenti per la difesa dell’Ente, ovvero la costituzione in giudizio e il ricorso in appello.

La novella del 2005 sembrava avere espressamente conferito, quindi, piena legittimazione ai dirigenti a rappresentare l’Ente nel giudizio tributario, senza bisogno di ulteriori atti che gliela attribuissero.

La legittimazione dei dirigenti si aggiungeva e non si sostituiva alla concorrente legittimazione dei vertici politici di Comune e Provincia.

La stessa Suprema Corte (Corte di cassazione, sentenza n. 685/2007) ha, poi, affermato, in più occasioni, la legittimità della rappresentanza in giudizio dei dirigenti (o, in assenza, di funzionari) comunali, senza la propedeutica delega da parte del Sindaco.

L’istituzione della Tares e della Iuc

A partire dall’istituzione della Tares (e poi con la Iuc), il Legislatore ha previsto la rappresentanza in giudizio, per le controversie relative a questi tributi, addirittura in capo al funzionario responsabile del singolo tributo.

L’art. 14 del D.L. 201/2011, convertito in L. 214/2011, istitutivo della Tares, previde che al funzionario responsabile del tributo, oltre ai poteri per l’esercizio di ogni attività organizzativa e gestionale, fosse attribuita anche la rappresentanza in giudizio per le controversie relative al tributo stesso.

La stessa previsione è stata, poi, riportata nel comma 692 della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato), in materia di Imposta Unica Comunale, che, testualmente, recita: Il comune designa il funzionario responsabile a cui sono attribuiti tutti i poteri per l’esercizio di ogni attività organizzativa e gestionale, compreso quello di sottoscrivere i provvedimenti afferenti a tali attività, nonché la rappresentanza in giudizio per le controversie relative al tributo stesso.

Il ruolo del Sindaco secondo la Cassazione

Con la sentenza 30 ottobre 2018, n. 27579, la Corte di Cassazione torna ad affermare che spetti solo al Sindaco il potere di rappresentare il Comune nel processo tributario, come ricorrente o parte resistente, tranne che non sussista un’espressa previsione statutaria che autorizzi i dirigenti (o i funzionari) ad agire o resistere in giudizio.

La Suprema Corte ha ritenuto che fosse il primo cittadino ad avere la rappresentanza istituzionale dell’Ente ed a poter “esprimere valutazioni di opportunità a promuovere o resistere alle liti in quei giudizi che coinvolgono interessi generali dell’Ente“.

Un’affermazione che può essere vista in contrasto con i principi della separazione tra politica e gestione e collide con la disciplina sulle funzioni e responsabilità dirigenziali. Gli interessi generali dell’Ente sono affidati alla valutazione dirigenziale in tantissimi casi (appalti, concorsi pubblici, provvedimenti di autorizzazione e concessione, etc.). Anche in materia di fiscalità locale, la burocrazia è responsabile dell’emissione degli avvisi di accertamento ma anche di chiudere una controversia tramite la mediazione o l’ammissione agli istituti deflattivi del contenzioso.

L’intervento della Corte dei Conti

Secondo la Corte dei Conti, Sez. controllo per il Veneto (delib. 7 giugno 2016, n. 313/2016/PAR.), l’azione burocratica del Comune dev’essere tempestivamente volta ad evitare la prescrizione del credito tributario e “della competenza dell’organo gestionale all’attuazione del rapporto tributario”.

Rispetto al principio di separazione tra “politica e amministrazione”, debbono essere ascritte al funzionario responsabile del procedimento – e non al legale rappresentante dell’ente (alias Sindaco) – le conseguenze dannose del ritardo nel pagamento di tributi, in quanto si verte in materia di obbligazioni periodiche imposte “ope legis” e non collegate ad attività volitiva degli organi di gestione elettivi (Corte conti, sez. giur. Sardegna, 21 febbraio 1994, n. 79).

Conclusioni

La Corte di Cassazione, comunque, salva la possibilità che il Comune, tramite una specifica previsione statutaria (o regolamentare se lo statuto demanda espressamente al regolamento), affidi la rappresentanza a stare in giudizio ai dirigenti, nell’ambito dei rispettivi settori di competenza, quale espressione del loro potere gestionale (senza che questo sia previsto dalla norma).

In assenza di una previsione statutaria (o regolamentare), secondo la Cassazione, il Sindaco conserva l’esclusiva titolarità del potere di rappresentanza processuale del Comune, ai sensi del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli Enti locali, approvato con il D.Lgs. n. 267/2000.

 

Fonte: articolo di Luciano Catania, segretario del Comune di Enna
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